lunedì 17 settembre 2018

Fare del male per non farsi del male

"Il peggiore dei mali non è quello che infliggiamo agli altri ma quello che consentiamo alla nostra coscienza di infliggere a noi.

Se il sottotitolo è eloquente: "La consapevolezza rivelata" quale presa di coscienza della propria condizione umana, il condensato de "L'ultimo giorno" ("Il peggiore dei mali...") è la constatazione di quanto si possa stare male per non stare male. L'ossimoro del nostro tempo. A volte difendersi comporta l'alienarsi, il rinchiudersi in sé limitandosi a prendere dagli altri quello che serve senza dare altrettanto. L'autoesclusione per non esporsi al rischio della caduta, della sofferenza, del coinvolgimento. Tutto questo si trasforma in egoismo, in respingimento del prossimo, in indifferenza verso le tragedie umane che si consumano intorno. Non è una difesa reale, efficace, è una idea di difesa, di minima fuga, a volte vigliacca, dalle responsabilità che si teme di dover assumere.
Altre volte è una reazione ad un trauma, comprensibile azione volta a prevenire ulteriori sofferenze, ma alla fine produce sempre un danno, un isolamento mai salutare, poiché dal dolore si esce col confronto, con l'aiuto degli altri, aprendosi, scoprendo nuovi territori della relazione mai bene esplorati tanto per pigrizia quanto per timore. 
"L'ultimo giorno" indaga questo luogo interiore e cerca una via d'uscita, un salvifico cambiamento che riporti alla vita cercando il buono delle cose attraverso un doloroso passaggio che renda il futuro migliore del passato percorrendo un presente in cui a fatica si fa cadere la corazza che il protagonista si è costruito, il carapace, l'esoscheletro che gli impedisce di godere appieno dei frutti della vita.
Aver lasciato che la propria coscienza di sé infliggesse il male della solitudine quale atteggiamento espiatorio e salvifico è stato un errore che nel tempo presenta un conto sempre più alto.
Un conto che prima o poi va pagato.

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